Un delitto d'onore

Scritto il 08/08/2024
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Ero proprio piccolo, un bambino delle scuole elementari, e, in vacanza, leggevo Le Arringhe di De Marsico nello studio di mio nonno, attento alle sue sottolineature, con matita rossa e blu, e alle note da lui apposte a margine (ndr: illo tempore, per lo più, le vacanze si trascorrevano a casa dei nonni)

Lo so, può sembrare strano, ma a quei tempi molti bambini leggevano, non distratti dal pc o dalla play station. 

E nonno Mario, magnificandomi l’eloquenza del grande Avvocato, mi invogliava alla lettura per cercare di apprendere l’ars loquendi

In realtà, i miei volumi preferiti erano il primo e il secondo. E nel volume I, come prima arringa, c’era quella “Contro il dott. Luigi Carbone”, un caso di uxoricidio avvenuto in Lapio, un paesino irpino, il 1° aprile 1922.

Il processo, tenutosi poco dopo, in Corte d’Assise, ad Avellino, aveva visto confrontarsi due Maestri: il famosissimo Giovanni Porzio per l’omicida e il neofita De Marsico per una delle due vittime, Elena.

In breve, i fatti. Il dott. Luigi Carbone, un medico, si era invaghito di Belinda, una giovane ragazza che lavorava in un’osteria, e ciò nonostante la differenza sociale, all’epoca, sconsigliasse il matrimonio e sebbene, come rimarcava De Marsico nella sua arringa (il politicamente corretto era in mente Dei), la prudentia gli avrebbe dovuto far sospettare che muoversi in quell’ambiente non l’avesse tenuta al riparo da precedenti tentazioni e relazioni (essere stata baccante in una bettola, dice il Maestro). E, se non gli fosse bastata la prudentia, lo zio prete gli aveva chiaramente detto che il matrimonio sarebbe stato un disonore per la famiglia.

Ma, si sa, l’amore è irrazionale e il buon medico si sentiva un novello Pigmalione.

Oddio, invero De Marsico evidenzia come egli avesse levato “lo sguardo verso due fanciulle di egregia famiglia, e fu respinto. Lo abbassò verso la bettola, e vi trovò …”: insomma, si era dovuto accontentare, altro che amore e passione. 

Purtroppo, durante la prima notte di nozze appurò che la moglie aveva avuto precedenti relazioni e, fattosi rivelare il nome del seduttore, dietro vigliacca e menzognera promessa di perdono, durante la seconda notte uccise Belinda nel sonno, recidendole la carotide con un rasoio, per poi andare ad uccidere, a colpi di pistola, Elena (accusata di esser la mezzana), la sorella dell’ex amato e, infine, a costituirsi.

Significativo della mentalità dell’epoca è il fatto che la famiglia di Belinda non si costituì parte civile, legittimando, diciamo, l’azione del dott. Carbone, che fu condannato a 30 mesi di reclusione, di cui sei condonati, per l’uccisione di Elena.  E il giorno in cui uscì dal carcere il buon Luigi fu portato in trionfo dagli abitanti di Lapio …

Tuttavia, De Marsico, non si aspettava esito diverso ed infatti aveva puntato a tratteggiare il medico come una persona malvagia, non come una persona temporaneamente incapace di intendere e di volere o travolta dalla passione (“prega”, disse a Desdemona la roca collera di Otello, non “confessa”!, , così De Marsico si era rivolto alla Corte per evidenziare la crudeltà e la premeditazione del marito).

All’epoca dei fatti (1922, albori del Fascismo), invero, era vigente il codice penale Zanardelli: adulterio e concubinato erano delitti e l’art. 377 (delitto cd. d’onore) prevedeva la sostituzione dell’ergastolo con la detenzione da uno a cinque anni, sia per il coniuge che per l’ascendente o il fratello o la sorella “sopra la persona del coniuge, della discendente, della sorella o del correo o di entrambi, nell’atto in cui li sorprenda in flagrante adulterio o illegittimo concubito”.

Poi, il Codice Rocco, nel 1930, riconobbe, all’art. 587 c.p., le attenuanti anche alla donna che uccideva il marito fedifrago.

Quanto al reato di adulterio e di concubinato, previsti, rispettivamente, dagli artt. 559 e 560 c.p., erano punibili a querela di parte, ma per configurare la fattispecie delittuosa di cui all’art. 560 c.p. occorreva che la concubina vivesse nella casa coniugale o notoriamente altrove.

Per la cronaca, l’ultimo delitto d’onore pare si sia consumato nel 1964 a Catania. 

In seguito, la Legge 442 del 5 agosto 1981 abrogò finalmente il reato.

Medio tempore, nel 1968, con sent. n. 126/68 e nel 1969, con sent. n. 147/69, la Corte Costituzionale aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo dapprima l’art. 559 c.p e poi l’art. 560 c.p.

La vicenda appassionò il grande Giovanni Arpino, che la romanzò: il libro, Un delitto d’onore, pubblicato nel 1960, fu secondo al Premio Strega, vinto da Raffaele La Capria con quello che è tutt’ora considerato il suo capolavoro: Ferito a morte.  Arpino, però, fece terminare la narrazione all’inizio del processo, essendo più che altro interessato a rappresentare l’ambiente in cui si muovevano i protagonisti, evidenziando come l’avvocato della difesa si avvantaggiasse anche dell’appoggio degli ambienti fascisti locali.

E dal libro trasse, a sua volta, ispirazione anche un altro Maestro, Pietro Germi, regista sempre attento alle questioni sociali, con il celeberrimo film Divorzio all’italiana, (con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli, tra i tanti), del 1961, l’anno successivo vincitore della Palma a Cannes come miglior commedia e dell’Oscar come miglior sceneggiatura originale. Germi, però, diede un taglio di commedia alla vicenda, e la ambientò in Sicilia.